BUENOS AIRES – Plaza de Mayo a Buenos Aires: il luogo dove tutto accade, dove tutto ha inizio, dove si radunano gli argentini della capitale per protestare o festeggiare. Non a caso è intitolata a una rivoluzione. La piazza che dà voce al popolo davanti ai governi, simboleggiati dalla Casa Rosada, sede del potere esecutivo.
Plaza de Mayo, mercoledì 18 giugno, giorno dell’inizio dell’esecuzione della pena per Cristina Kirchner, è stata l’epicentro di una mobilitazione di massa, con centinaia di migliaia di persone scese in strada per protestare contro la condanna inflitta all’ex presidente nel caso Vialidad ed esprimerle il loro incondizionato sostegno.
È il giorno successivo alla pubblicazione ufficiale del decreto n. 383/2025, una legge organica sulla Polizia federale che, secondo l’opposizione e i movimenti sociali, attribuisce alle forze dell’ordine mano libera totale e fuori dal controllo del potere giudiziario.
L’immagine di Cristina si è moltiplicata su cartelli fatti a mano, bandiere di partito e nel fervore di una folla che ha sfidato il protocollo antipiquetes del governo di Javier MileiLa giornata, che inizialmente doveva concludersi presso Comodoro Py, è stata dirottata verso Plaza de Mayo dopo la notifica virtuale della condanna agli arresti domiciliari per Cristina, come richiesto dagli avvocati dell’ex mandataria.
Le stime sull’affluenza sono variate. La Polizia della Città ha contato circa 500.000 persone, mentre La Cámpora, uno dei principali organizzatori, ha parlato di un milione. Al di là dei numeri, è certo che la piazza e le aree circostanti erano gremite di militanti di base di tutte le età, sindacati, organizzazioni sociali e figure di spicco del peronismo in una mobilitazione che senza dubbio entrerà nella storia del Paese.
La presenza dei tre sindacati confederali – le due Cta e la Cgt (quest’ultima con una colonna più contenuta, segno di tensioni interne) – ha segnato il ritmo della convocazione. Governatori come Axel Kicillof e dirigenti come Sergio Massa (candidato alle elezioni presidenziali) e Máximo Kirchner – figlio della ex presidente – erano anch’essi presenti. Hanno partecipato anche settori della sinistra normalmente in conflitto con il kirchnerismo, come il Mas e il Partido Obrero.
Kicillof ha denunciato “la violenza della persecuzione” e, alludendo al governo nazionale, ha aggiunto: “Di quale libertà parlano, se mettono in carcere chi la pensa diversamente? Vogliono provare a disciplinarci”. E ha continuato: “Siamo in strada per manifestare, per dire che così no, Milei. Cercano di disciplinare il campo popolare, la dirigenza, ma siamo qui perché non c’è un modo per disciplinarci”. Il governatore della provincia di Buenos Aires ha definito con forza la situazione come “un colpo di autoritarismo che si esprime in una condanna ingiusta e fuori legge; in un procedimento giudiziario totalmente falso contro Cristina”.
Manifestanti in una delle avenidas attigue a Plaza del Mayo.
La condanna a sei anni di reclusione (da scontare agli arresti domiciliari) e l’interdizione perpetua dai pubblici uffici per Cristina Fernández de Kirchner nel caso Vialidad è stata la scintilla della mobilitazione. Il beneficio della detenzione domiciliare si applica per la sua età, per il fatto di essere stata due volte presidente e una volta vicepresidente (elemento che obbliga la legge ad assegnarle una scorta permanente), e considerando il tentativo di assassinio subito nel 2022.
La notizia della sua detenzione ha generato reazioni anche a livello internazionale. Questo pomeriggio è stata annunciata per luglio la visita del presidente brasiliano Lula da Silva, in segno di solidarietà con Cristina Kirchner, gesto che sottolinea la risonanza regionale del caso.
La giornata non è stata priva di difficoltà per i manifestanti. Autobus provenienti da province come Santa Cruz, Córdoba, San Luis, Río Negro e Neuquén hanno denunciato di essere stati fermati più volte da posti di blocco della Gendarmeria. Gli agenti non solo ritardavano i manifestanti, ma li filmavano, fotografavano le liste dei passeggeri e perquisivano i veicoli, mentre il portavoce presidenziale Manuel Adorni minacciava di applicare il protocollo antipiquetes (che interviene quando una manifestazione crea problemi di transito) e il capo di Gabinetto Guillermo Francos giustificava le perquisizioni parlando di “liste di agitatori”: azioni che darebbero ragione ai chi teme un giro più autoritario delle forze dell’ordine e comportamento arbitrati da parte degli agenti.
È stato inoltre riferito che la Polizia Federale ha chiesto i documenti d’identità a persone che arrivavano alla stazione ferroviaria di Constitución, in un tentativo di dissuasione che per molti ha evocato i momenti peggiori della repressione statale.
Le manifestazioni si sono moltiplicate in tutto il Paese, nelle principali città come Bariloche, Rosario, Santa Fe, La Rioja, Córdoba e Mendoza.
L’ex presidente, che sta scontando la pena domiciliare nel suo appartamento di San José 1111, nel quartiere Constitución, si è rivolta alla folla virtualmente. Dopo l’inno nazionale e la marcia peronista, un audio registrato di Cristina Kirchner ha preceduto il suo intervento in diretta (solo audio). Una frase, ripetuta di bocca in bocca, ha segnato la giornata: “Possono rinchiudere me, ma non il popolo argentino”.
Dal suo confinamento, Cristina non solo ha ringraziato per il sostegno, ma ha anche criticato duramente il modello economico del governo Milei. “Crolla perché è ingiusto e insostenibile”, ha affermato, ricordando gli anni dei governi kirchneristi: “Quel Paese non è stato un’utopia”. E ha promesso: “Torneremo, con più unità e più forza”.
Cartelli e striscioni a sostegno di Cristina Kirchner.
Ha inoltre esortato a “difendere la democrazia con gli stessi strumenti con cui l’abbiamo costruita, senza violenza, con coraggio, senza paura e con amore”.
Con ironia, Cristina ha fatto riferimento alla restrizione di uscire sul proprio balcone. “Dio mio, che palloni gonfiati – ha detto, riferendosi ai magistrati che avrebbero imposto questa condizione per permetterle di scontare la pena a casa (i suoi avvocati hanno chiesto un chiarimento sulla questione) – Meno male che non ho vasi con piante, perché nemmeno potrei annaffiarle, che ne so. Certo che ce n’è di gente ridicola”.
E ha teorizzato: “E sapete perché non mi lasciano candidarmi? Perché sanno che perdono”.
Parlando del passato, l’ex presidente ha risvegliato l’essenza peronista. “La cosa che mi è piaciuta di più è stato sentirvi cantare di nuovo Vamos a volver (‘Torneremo’, il ritornello dell’inno peronista, ndr). Non lo facevamo da tantissimo tempo, forse troppo. E mi piace perché rivela la volontà di tornare ad avere un Paese in cui i bambini possano mangiare quattro volte al giorno e a scuola ci siano libri e computer, i lavoratori arrivino a fine mese e possano risparmiare per comprarsi una casetta, un’utilitaria e un pezzo di terra, qualcosa che sia loro, ottenuto con il sudore del proprio lavoro. Ben peronista”.
Ha detto che durante gli anni di governo del kirchnerismo “i pensionati avevano i medicinali” e che quel Paese “non era affatto un’utopia”. E ha affermato: “Lo abbiamo vissuto per dodici anni e mezzo e inoltre lo abbiamo lasciato senza debiti, come le famiglie e le imprese. Incredibile quello che hanno fatto e come hanno distrutto tutto”.
Riguardo al presente ha sostenuto che, così come quegli anni furono una “realtà”, il modello economico portato avanti dal presidente Javier Milei “sta crollando. E crolla non solo perché è ingiusto e iniquo, ma soprattutto perché è insostenibile dal punto di vista economico”. Perché, ha affermato l’ex presidente, non è possibile sostenere un modello economico in cui la gente “deve usare la carta di credito per comprare il cibo quotidiano e poi non riesce a pagare la carta” in un Paese dove “conviene di più comprare cibo, viaggiare, comprare vestiti all’estero perché costano meno che qui dentro al Paese”.
Plaza de Mayo em sullo sfondo, la Casa Rosada, sede del governo.
Infine, ha lanciato un avvertimento al “vero potere economico”, che “sa che questo modello non ha futuro, sa che sta crollando ed è per questo che sono in carcere. Ma c’è una cosa che tutti devono capire, anche loro. Possono rinchiudere me, ma non riusciranno a rinchiudere tutto il popolo argentino. Quelli spaventati non siamo noi, sono loro”.
Pochi minuti dopo, Cristina Kirchner si è rivolta in diretta alla base militante: “Ciao. Sono Cristina. Mi sentite?”, si è udito dagli altoparlanti.
La dirigente ha ringraziato “l’affetto e il calore” della gente e ha detto: “Abbiamo ragione. La nostra ragione è quella dei popoli, che si rifiutano di essere calpestati, e anche quella di una patria che si rifiuta di diventare una colonia. Quindi compatrioti, come sempre, con fermezza e tanto lavoro, sempre avanti. Sempre”.
Dopo le parole dell’ex presidente è risuonata con forza la canzone Todo preso es político (“Ogni detenuto è un prigioniero politico) di Patricio Rey y sus Redonditos de Ricota. Il brano, intonato da ampi settori della militanza, ha trasformato la manifestazione in un rituale collettivo, combinando slogan politici e riferimenti culturali condivisi.