BERLINO - Antonio Gagaruso, Donato Belmonte e Nicola Loscalzo. Sono i nomi di tre soldati italiani che, durante la Seconda Guerra Mondiale, furono internati in Germania per aver rifiutato di combattere al fianco dei nazifascisti e che morirono in prigionia. Dopo decenni di oblio, le salme di Donato Belmonte e Nicola Loscalzo sono finalmente tornate in Italia e ora riposano nel cimitero di Accettura, in Basilicata.
Le operazioni di recupero, avviate lo scorso anno dall’ANPI di Matera, hanno beneficiato del prezioso contributo di Umberto Mastropietro, l’allora vicepresidente del Comites di Berlino ed ex militare, che ha vissuto per oltre trent’anni tra la capitale tedesca e Potsdam. Nel corso degli anni, Mastropietro si è dedicato a numerose iniziative a sostegno della comunità italiana in Germania, in particolare alla cura dei cimiteri italiani nella circoscrizione consolare di Berlino e alla partecipazione a commemorazioni ufficiali, come quella del 4 novembre organizzata dall’Ambasciata italiana.
“Durante la mia vicepresidenza – racconta Mastropietro – ho avuto modo di entrare in contatto con l’ANPI di Berlino, che a sua volta mi ha messo in relazione con l’ANPI di Matera e il loro progetto di recupero delle salme di questi tre soldati lucani. Grazie all’impegno del Consolato e dell’Ambasciata, dopo una lunga trafila burocratica, siamo riusciti a riportare in Italia i resti di Donato Belmonte e Nicola Loscalzo. Per Antonio Gagaruso, invece, il percorso è più complesso”.
L’ex vicepresidente del Comites di Berlino ha, infatti, spiegato che il corpo di Gagaruso è sepolto in un complesso monumentale a Varsavia, e il suo rimpatrio richiede non solo autorizzazioni, ma anche un costante dialogo diplomatico tra Italia e Polonia. La procedura si preannuncia quindi più lunga e articolata.
Mastropietro sottolinea come la storia di questi tre soldati sia solo una delle tante dimenticate nel tempo. Dopo l’armistizio dell’8 settembre 1943, infatti, circa due milioni di soldati italiani si trovarono sparsi in Europa, principalmente in Jugoslavia, Grecia, Francia meridionale e Albania.
“I tedeschi catturarono moltissimi di questi soldati. Si parla di quasi 650mila italiani: li trasferirono in Germania, ma non come prigionieri di guerra – racconta l’ex vicepresidente del Comites di Barlino. – In tal caso avrebbero dovuto rispettare gli accordi della Convenzione di Ginevra. Piuttosto, li classificarono come ‘internati militari italiani’. Vennero così impiegati nei lavori forzati, nelle fabbriche, nella rimozione delle macerie dopo i bombardamenti, o come pompieri e contadini sottopagati. Le condizioni di vita erano drammatiche: cibo appena sufficiente per sopravvivere, cure mediche inesistenti e alloggi in baracche fredde e prive di riscaldamento”.
Questi uomini avrebbero potuto risollevare le sorti del loro destino se solo avessero scelto di combattere al fianco dei tedeschi, andando ad accrescere le loro truppe e alimentando il conflitto bellico, ma la maggior parte di loro preferì accettare la propria condanna, anziché tornare a combattere contro chi stava liberando l’Italia - e il resto dell’Europa - dal nazifascismo.
“Nel caso di Donato Belmonte e Nicola Loscalzo, sappiamo che erano due contadini di Accettura, questo paesino in Basilicata, tra le montagne. Erano nati nei primi anni Dieci del Novecento, per cui erano già uomini quando vennero chiamati alle armi per andare a combattere l’assurda guerra di Mussolini contro la Grecia”, racconta Umberto Mastropietro.
Donato e Nicola avevano delle famiglie, erano persone dedite al lavoro e che cercavano di lavorare una terra non sempre facile per poter sopravvivere. Entrambi si rifiutarono di tornare a combattere, e trovarono la morte nelle stesse prigioni in cui erano stati internati, uno a causa delle scarse cure che ricevette dopo un bombardamento, e l’altro a causa di una malattia. Data la scarsa nutrizione, infatti, anche una piccola infezione o la più semplice influenza erano capaci di far cedere il corpo.
L'ex presidente del Comites di Berlino, Umberto Mastropietro, e il sindaco Vespe.
“È importante ricordare queste storie, perché oltre ad essere storie di coraggio, anche queste sono grandi esempi di resistenza”, precisa Mastropietro. “La Resistenza, infatti, non è solo quella fatta dai partigiani, ma anche da queste persone che, pur senza armi, riuscirono a impedire che l’esercito nazifascista si rimpolpasse, prolungando la guerra di parecchi mesi e procurando parecchie distruzioni sul suolo italiano”.
Alla cerimonia di rientro che si è tenuta nei giorni scorsi ad Accettura hanno partecipato scolaresche, le autorità militari, la prefettura, l’ANPI, il sindaco Alfonso Vespe, numerose associazioni e persino alcuni parenti di Donato Belmonte e di Nicola Loscalzo.
“Quando ho visto la commozione negli occhi dei figli e dei nipoti di questi due uomini, ho capito che è stato giusto riportarli di nuovo a casa. A prescindere dall’aspetto più puramente umano e profondo, l’atto simbolico del trasporto delle salme e della sepoltura nel cimitero locale ci ricordano quanto sia importante la dignità dell’essere umano, il suo coraggio e la pace che ne può scaturire”, conclude Mastropietro.