MELBOURNE – Due donne australiane e i loro quattro figli sono riuscite a fuggire dal notorio campo di detenzione siriano, al-Hawl, e a raggiungere il Victoria, mentre aumentano le pressioni sul governo federale affinché rimpatri i propri cittadini.
Dopo la fuga, facilitata da trafficanti di esseri umani, le due donne e i loro figli hanno viaggiato per 500 km per raggiungere la frontiera con il Libano, dove sono state arrestate dalle autorità locali, e trasportate all’ambasciata australiana a Beirut, dove, dopo accurati controlli, hanno potuto ottenere documenti di viaggio e imbarcarsi su un volo commerciale, la settimana scorsa. Le sei persone sono i primi membri delle famiglie di ex guerriglieri dell’Isis a tornare nel Victoria.
Per anni il governo federale è stato messo sotto pressione da parte di familiari, legali e gruppi per i diritti umani, per rimpatriare i cittadini australiani dalla Siria. Finora Canberra ha organizzato due rimpatri limitati: nel 2019 ha riportato nel NSW otto bambini orfani, inclusa un’adolescente in stato interessante, e nell’ottobre 2022, ha riportato sempre nel NSW quattro donne e 13 bambini.
La polizia del Victoria ha confermato che era stata informata dai parenti delle due donne della loro fuga e del loro arrivo nello Stato.
L’opposizione ha manifestato forte preoccupazione per il ritorno delle ‘spose dell’Isis’ in Australia. La leader dell’opposizione Sussan Ley e il portavoce agli Interni James Paterson hanno sollevato una serie di interrogativi, che sono stati accolti nel silenzio totale dal ministro degli Interni Tony Burke: “Come sono rientrati in Australia? Qualcuno di loro rischia incriminazioni di terrorismo? Come verranno monitorati? Dove vivranno? Che coinvolgimento c’è stato da parte del governo?”, ha chiesto Patterson in un’intervista a radio Abc.
Un portavoce del governo, sottolineando che la situazione in Siria è sempre “più instabile”, ha segnalato che “il governo australiano non fornisce assistenza e non rimpatria individui dai campi di detenzione in Siria, ma se qualcuno di loro riesce a tornare autonomamente le nostre agenzie di intelligence e sicurezza sono preparate e in grado di agire nell’interesse della sicurezza della comunità”.
Il vicecommissario capo della polizia del NSW David Hudson ha riferito a una Commissione parlamentare che le Forze dell’ordine stanno lavorando a stretto contatto con il governo federale per il rimpatrio di cittadini australiani dalla Siria: “Non penso comunque che i rimpatri siano imminenti”, ha detto.
Un portavoce della polizia del Victoria si è detto “consapevole che cittadini australiani nei campi detentivi siriani stanno tentando di tornare a casa”.
“Se necessario, la polizia del Victoria collaborerà direttamente con le agenzie federali e statali per facilitare la reintegrazione in Victoria di donne e bambini provenienti dai campi in Siria”, ha detto.
Sono una quarantina, per lo più bambini, gli australiani ancora rinchiusi nei centri di detenzione nel nord della Siria. Sono le mogli, vedove e i figli di guerriglieri dello Stato Islamico, uccisi o incarcerati.
Trentaquattro australiani, 14 donne e 20 bambini, sono in detenzione dal 2019 presso il campo di al-Roj, vicino alla frontiera tra Siria e Turchia. Un numero inferiore di australiani sarebbe rinchiuso nel campo di al-Hawl, alla frontiera con l’Iraq.
Organizzazioni per i diritti umani sostengono che i cittadini australiani detenuti nei campi siriani hanno diritto a rientrare in Australia, e che i rimpatri organizzati sono più sicuri.
Le condizioni nei campi siriani sono disperate, con fame diffusa, malattie e violenza. Un recente rapporto del dipartimento di Stato americano ha descritto la situazione nei campi di detenzione come di “sicurezza precaria” e di “emergenza sanitaria”.
Human Rights Watch ha descritto le condizioni al campo di al-Hawl come “caotiche, violente e potenzialmente mortali”, sottolineando che vi sono rinchiuse 30.000 persone, la metà dei quali bambini.
Un’azione legale avviata da Save the Children per obbligare il governo a rimpatriare i propri cittadini, non ha avuto l’esito auspicato, con la Corte federale in seduta plenaria che ha decretato che “se ci fosse la volontà politica di riportare in Australia donne e bambini detenuti in Siria, il processo sarebbe relativamente facile”.