La canzone napoletana ha diritto a essere riconosciuta dall’Unesco. “È un patrimonio tradizionale, conosciuto in tutto il mondo, e non capisco perché non sia ancora stato tutelato. Hanno riscoperto la pizza, la bellezza della città, ma la canzone resta sottovalutata. Eppure ‘’O sole mio’ e ‘Torna a Surriento’ si cantano anche in Cina”. Parola di Renzo Arbore, che a Napoli ha ricevuto un riconoscimento speciale dal Conservatorio San Pietro a Majella, istituzione storica che lo ha voluto omaggiare per una carriera dedicata alla valorizzazione della melodia partenopea. Un premio che, confessa Arbore, lo ha colto di sorpresa.
“È un coronamento anche inaspettato. Ho sempre avuto questa città nel cuore, ho lanciato e rilanciato tanti artisti napoletani, ma non immaginavo di ricevere un riconoscimento così prestigioso da un Conservatorio così legato alla musica accademica. È motivo d’orgoglio per me e per i miei musicisti, molti dei quali partenopei, che da anni portano nel mondo la nostra visione della canzone classica napoletana”, dice. A consegnarglielo Carla Ciccarelli, prima donna a dirigere l’istituto in oltre due secoli di storia. “Quando ho cominciato io - ricorda Arbore - le donne nei ruoli di vertice erano praticamente assenti. Oggi ci sono eccezioni importanti, e sono molto felice di essere premiato da una professionista seria. Ma i pregiudizi, anche nel mondo musicale, non sono ancora del tutto superati”.
Arbore, all’anagrafe Lorenzo Giovanni Arbore, nato a Foggia il 24 giugno del 1937, cantautore, disc jockey, autore televisivo e radiofonico, conduttore radiofonico e televisivo, clarinettista, compositore, showman, sceneggiatore, regista, attore e talent scout, condivide con Gianni Boncompagni il titolo di primo disc jockey italiano. Oggi Arbore guarda con ottimismo al rapporto tra nuove generazioni e tradizione. “I ragazzi si stanno riavvicinando alla musica popolare, e la canzone napoletana vive una nuova stagione. La rivoluzione l’ha fatta Roberto De Simone. De Simone è stato un personaggio geniale, capace , dalla seconda metà degli anni ‘60, di dare concreto impulso al recupero e la riproposta del patrimonio culturale, teatrale e musicale della tradizione popolare campana, sia orale che scritta. Grazie al fortunato incontro con il gruppo di artisti che animarono la Nuova Compagnia di Canto Popolare, il maestro mise le basi per una nuova linfa del genere folk. E oggi ci sono giovani voci, anche femminili, che riprendono i classici. Lo vedo anche sui social: la musica napoletana torna nelle strade, negli eventi. È viva. E lo sarà sempre”.
Ma c’è un rimprovero alla politica e alla scarsa attenzione per la cultura musicale italiana. “Noi abbiamo generato nel Novecento una delle forme di musica pop più interessanti del mondo, insieme a Stati Uniti e Inghilterra. Eppure non lo riconosciamo. La canzone italiana, e quella napoletana in particolare, non sono ancora apprezzate come meritano. La politica dovrebbe capirlo: la musica è cultura, identità, storia. L’Unesco? È il minimo”.