ORLEANS - Chi siamo veramente? Quanto della nostra identità è scritto nel luogo in cui nasciamo e quanto, invece, è custodito nei racconti delle generazioni passate? Per molti discendenti di migranti, la ricerca delle proprie radici diventa una necessità, un richiamo che si fa strada nel tempo, fino a diventare parte della loro storia personale. È questo stesso richiamo che ha guidato Pascal Scotto di Vettimo nella sua missione: riscoprire le proprie origini e dare agli altri la possibilità di fare lo stesso attraverso La Grande Famille de Procida & Ischia, un’associazione italo-francese (con sede a Villiers-sur-Loir) fondata nel 2003 dallo stesso Pascal Scotto di Vettimo, pronipote di Michele Scotto di Vettimo, un procidano che, nel 1862, lasciò la terra di Corricella per raggiungere il villaggio di Stora, nell’Algeria francese.  

L’obiettivo principale dell’associazione è stato, sin dall’inizio, quello di salvaguardare e digitalizzare gli archivi storici di Procida e Ischia, con l’intento di permettere ai discendenti delle comunità migranti di ritrovare le proprie radici. Ma anche quello di preservare la memoria di una lunga storia di migrazione, fatta di migliaia e migliaia di isolani che, tra le grandi epidemie e la nascita del Regno d’Italia, decisero di migrare verso il Sud della Francia e il l’Africa del Nord per migliorare le proprie condizioni di vita. 

A raccontarci questo stralcio di storia è lo stesso fondatore dell’associazione, un uomo che, nel suo operato e nelle iniziative da lui promosse, è stato sempre guidato da quel desiderio di “scoprire chi fossi, quali fossero le origini del mio nome, e in qualche modo ricostruire la mia identità”.  

Secondo Pascal Scotto di Vettimo, infatti, c’è un qualcosa che unisce tutti i figli dei migranti di prima generazione: la consapevolezza che, da qualche parte nel proprio corpo, c’è un pezzo mancante, e che quel vuoto prima o poi inizia a farsi sentire, attraverso un forte richiamo viscerale alla propria terra. Nel suo caso, il richiamo alla riscoperta della propria identità scaturì nei primi anni Duemila, dopo aver ritrovato una cartolina del 1961 appartenente al bisnonno Michele. 

“Procida è una piccola isola che, nel XIX secolo, contava circa quindicimila abitanti. A partire dagli anni ‘30 dell’Ottocento, però, l’isola inizia a svuotarsi per svariati motivi: i terremoti, le epidemie di colera e di altre malattie e le guerre che si sono susseguite negli anni hanno spinto numerosi procidani a lasciare la propria terra per cercare fortuna altrove”, spiega il fondatore. Parliamo di veri e propri flussi migratori che hanno coinvolto numerose famiglie dell’isola, ai tempi molto numerose (la maggior parte contava una decina di figli) e che si spostavano in gruppo. Un fenomeno, tra l’altro, che si diffuse a macchia d’olio, spingendo sempre più famiglie a lasciare l’isola, sulle orme di quanto già fatto da altri procidani.  

Tra i vari eventi dell’Ottocento, uno in particolare avrebbe contribuito in maniera più incisiva alla migrazione dei procidani e degli ischitani verso altre terre: l’unità d’Italia e l’annessione del Regno delle Due Sicilie al grande Regno d’Italia. Un’operazione che avrebbe richiesto un grande sforzo bellico, ma anche una causa che non tutti i napoletani erano disposti a sostenere. “Il mio bisnonno rappresenta un esempio di questa particolare categoria di migranti”, racconta il presidente. “Lui era un pescatore, e all’età di diciassette anni lasciò Procida con la sua barca da pesca per andarsene in Algeria. Come tanti altri giovani, era prossimo al servizio militare, sarebbe dovuto partire per il Piemonte, per combattere la guerra di un monarca che non parlava neppure la sua lingua. Magari lui avrebbe voluto semplicemente vivere la sua vita, e trovò nella migrazione l’unica alternativa a quel destino. Con lui, anche tanti altri pescatori”. 
 
A migrare, infatti, erano soprattutto loro, giovani pescatori del Golfo di Napoli che – per natura del loro stesso lavoro – erano già abituati a navigare le acque del Mediterraneo per spingersi con i loro pescherecci sino alle coste dell’Africa del Nord. Iniziarono a insediarsi con le loro famiglie nelle aree portuali dell’Algeria, ormai sotto il dominio francese, trovando una pacifica e armoniosa convivenza con la popolazione locale.  
 
“Con la legge sulla naturalizzazione obbligatoria del 1889, queste comunità acquisirono la cittadinanza francese, segnando una svolta nella loro identità. Tuttavia, la loro storia subì un nuovo drammatico cambiamento nel 1962, anno dell’indipendenza algerina, quando molti furono costretti a lasciare il paese, spostandosi verso Marsiglia e altre città della Francia”, racconta il fondatore. 

Da qui, però, ci si inizia anche a spostare verso il Sud della Francia, attirati dalle nuove e più ampie opportunità di lavoro che si stavano sviluppando. Non solo procidani e ischitani, ma uomini e donne da ogni parte d’Italia iniziarono a migrare verso la Francia, privilegiando zone come quella di Marsiglia. Meta particolarmente amata dai napoletani, tant’è che si venne a creare un centro urbano che venne battezzato Piccola Napoli - oggi, purtroppo, inesistente, perché distrutto dai tedeschi durante la Seconda Guerra Mondiale.  

Il percorso verso l’integrazione, tuttavia, non è stato semplice: “Mia madre arrivò qui all’età di dieci anni, aveva i capelli lunghi e neri, la pelle olivastra, mentre i francesi sappiamo essere per la maggior parte biondi. Non venne trattata molto bene per la sua apparenza ‘diversa’, in altri casi i migranti venivano accusati di rubare il lavoro ai francesi. I nostri genitori e i nostri avi, alla fine, hanno solo cercato di donarci un futuro migliore e di scampare alla miseria”, racconta Pascal Scotto Di Vettimo. 

Oggi, possiamo stimare più di trecentomila cittadini della Francia che discendono da quei circa cinquemila procidani e ischitani che lasciarono la propria terra d’origine nel corso dell’Ottocento. Se, inizialmente, i procidani e gli ischitani erano perlopiù impegnati in settori come quello dell’agricoltura, dell’edilizia, della pesca e della navigazione, oggi, i discendenti delle prime famiglie di migranti trovano impiego in qualsiasi ambito della società. “Noi siamo profondamente legati alla nostra storia – commenta il presidente - perché è grazie al coraggio e agli immensi sacrifici compiuti da chi ci ha preceduti che oggi possiamo godere di una vita più agiata”. 

Per rendere omaggio alla storia della migrazione procidana, sono state avviate diverse iniziative. Tra queste, la creazione del Muro dei Migranti e, più di recente, la realizzazione della mostra Racines. Procida e il viaggio mediterraneo. Il progetto del Muro dei Migranti, inaugurato nel 2022, è stato – in realtà - presentato e approvato all’unanimità dal Comune di Procida già nel 2013. L’inaugurazione ha visto la partecipazione di importanti figure istituzionali e religiose, tra cui Michele Autuoro, Vescovo Ausiliare di Napoli, Michele Assante del Leccese, Assessore alla Cultura del Comune di Procida, e Laurent Burin des Roziers, Console Generale di Francia a Napoli. Il supporto delle istituzioni locali, rappresentate dai sindaci Vincenzo Capezzuto (2013) e Raimondo Ambrosino (2020), è stato fondamentale per la realizzazione del progetto, a dimostrazione dell’importanza storica e culturale che esso riveste per la comunità. 

Il monumento.

Si tratta, per l’appunto, di un monumento che racconta le storie di coloro che, tra il XIX e il XX secolo, lasciarono Procida e Ischia per cercare un futuro altrove. Il monumento è situato su un pendio simbolico della proprietà della famiglia Scotto di Vettimo (affacciato sul piccolo porto peschereccio di La Corricella, proprio di fronte al Mar Mediterraneo, nel vicolo San Domenico) e accoglie delle targhe commemorative dedicate agli antenati migranti dei soci dell’associazione.  

Accanto al monumento fisico, il progetto si arricchisce anche di un’importante innovazione: il Muro digitale. Questo archivio virtuale raccoglie le biografie dei migranti, redatte dai loro discendenti e tradotte in tre lingue (italiano, francese e inglese). Attraverso un codice QR presente sul Muro, i visitatori possono accedere a queste storie e immergersi in un viaggio nella memoria collettiva. 

Per quanto riguarda la mostra Racines. Procida e il viaggio mediterraneo, invece, questa resterà attiva fino al 20 marzo all’Istituto Italiano di Cultura di Marsiglia, e si presenta come un percorso storico e culturale che esplora le vicende dei migranti procidani che, nel corso del XIX secolo, raggiunsero le coste della Francia meridionale e del Nord Africa. 

Attraverso documenti d’archivio, fotografie d’epoca, testimonianze e oggetti legati alla vita quotidiana, la mostra ricostruisce questo lungo viaggio migratorio, evidenziando il legame profondo tra Procida, il Mediterraneo e la diaspora dei suoi abitanti. Il percorso espositivo si sviluppa in due tappe: a Marsiglia, dove il pubblico potrà scoprire il contributo della comunità procidana alla storia del Mediterraneo, con un focus sul loro insediamento nelle città francesi dopo l’indipendenza dell’Algeria; e a Procida. A partire dal 10 maggio, infatti, l’esposizione tornerà alle origini, ricollocando questa storia nel contesto dell’isola, evidenziando il legame tra i discendenti dei migranti e la terra d’origine. 

Il presidente e fondatore dell'associazione, Pascal Scotto di Vettimo, presenta la mostra.

Ovviamente, la memoria passa anche attraverso le numerose attività e occasioni di ritrovo che La Grande Famille de Procida & Ischia organizza durante l’anno, soprattutto in Francia: riunioni, pranzi, conferenze, incontri culturali, ma anche gite ed escursioni tra Procida e Ischia, per permettere ai discendenti dei migranti isolani di esplorare le meraviglie della propria terra d’origine. 

Oggi, grazie all’impegno di Pascal Scotto di Vettimo e della sua associazione, la storia di quei migranti non resta confinata tra le pagine ingiallite di un archivio. Viene recuperata, raccontata e condivisa, diventando un ponte tra passato e presente, tra le radici e l’identità di chi continua a cercare il proprio posto nel mondo.