Il docente associato dell’Università di Melbourne, ha raccontato il percorso che lo ha portato a pubblicare il libro Italian Modern Art in the Age of Fascism e a intraprendere uno studio inedito sull’arte dei prigionieri italiani in Australia durante la Seconda guerra mondiale.
Nel suo volume, White sfida la visione riduttiva diffusa in ambito anglofono secondo cui l’Italia fascista sarebbe stata un’arena priva di stimoli artistici, una terra sterile dal punto di vista culturale.
Questa narrazione ha oscurato la complessità e la ricchezza della produzione artistica dell’epoca, etichettata troppo facilmente come complice del regime.
Dopo la guerra, il dibattito artistico in Europa si polarizzò: da un lato i comunisti, favorevoli a un’arte realista e accessibile alle masse, e, dall’altro, gli americani e i loro alleati, che associarono l’arte astratta all’ideale di libertà, contrapponendola all’arte figurativa, tacciata di totalitarismo, sia fascista sia comunista. Questo dualismo, secondo White, ha creato una lettura semplicistica che ha marginalizzato il ruolo di artisti italiani che cercarono invece di interrogarsi sul presente, anche sotto il giogo di Mussolini.
A questa riflessione si affianca un progetto che White ha condotto negli ultimi tre anni, finanziato dall’Australian Research Council, e che indaga le tracce artistiche lasciate dai prigionieri di guerra italiani nei campi australiani.
Se la presenza dei prigionieri è documentata, molto meno noto è l’enorme patrimonio di dipinti, poesie, testi teatrali e musica che venne prodotto in quei luoghi di detenzione.
Tra le opere emerse, una in particolare colpisce: Maria, Madre di Gesù, realizzata nel 1946 da Eliseo Pieraccini. Apparentemente una raffigurazione tradizionale della Vergine, rivela però un dettaglio sorprendente: sullo sfondo non ci sono le dolci colline toscane, ma il paesaggio secco e luminoso di Cowra, in Australia, con i suoi eucalipti e la vegetazione locale; e Maria, simbolo di purezza e speranza, poggia i piedi su un filo spinato.
Questo elemento iconografico potente ha spinto White a una domanda profonda: può questa essere considerata arte australiana? Dove si colloca, nella storia ufficiale, l’arte prodotta dagli internati italiani in terra straniera durante un conflitto mondiale?
Domande aperte che rivelano la necessità di ripensare le narrazioni consolidate e di restituire dignità e spazio a voci troppo a lungo trascurate.