Questa rubrica mensile del vino vuole essere, innanzitutto, una piacevole e interessante lettura per tutti quelli che, come me, amano il buon cibo e il vino. Vuole essere dedicata anche a tutti quelli che hanno una vita passata, o presente, ricca di esperienze piene di sentori e gusti, e memorie. Il vino è, difatti, uno di quei pochissimi prodotti agricoli che riesce sempre a comunicare il proprio luogo di origine e a donare svariati, colorati linguaggi, quando è bevuto. Un bicchiere di vino può portare alla mente ricordi sopiti, luoghi e attimi di vita momentaneamente dimenticati. Si dice che, chi si appassiona al vino (bevendolo in moderazione, ovviamente), finisca quasi sempre per renderlo una parte integrante della propria vita. Spero quindi di passare anche a voi una passione che, credo, non mi abbandonerà mai.

Quando si parla di abbinamento vino e cibo, c’è chi si dà per vinto in partenza, c’è chi preferisce chiedere l’aiuto agli esperti del settore – chef, sommeliers, enologi e altri professionisti –, chi si professa un conoscitore sopraffino e chi ama sperimentare, senza mai smetter di imparare.

Indubbiamente ci sono varie regole da conoscere, come varie sono le scuole di pensiero e i corsi professionali da seguire se si è interessati a conoscerne ogni aspetto.

Ci sono quindi così tante variabili da considerare che risulterebbe impossibile riassumere tutto in una singola pagina. Di seguito, mi atterrò ad alcune regole e consigli che ho appresso strada facendo, seguendo i corsi professionali sia con l’AIS - Associazione Italiana di Sommelier, sia con il WSET - Wine and Spirit Education Trust, il quale vanta corsi di vino pressoché in tutto il mondo.

Partiamo dall’approccio italiano. Chi è nato e cresciuto in Italia è stato direttamente, o indirettamente, esposto all’abbinamento vino e cibo nella sua quotidianità sin dall’infanzia (salvo alcune eccezioni). Dalla tavola di famiglia, dove immancabilmente compariva un po’ di vino da accompagnare al pasto, alle occasioni speciali come il Natale, con il pandoro e Moscato d’Asti – “un mezzo bicchiere con un po’ di acqua per le bambine, tanto il Moscato è poco alcolico e zuccherato”, come diceva mia nonna.

La ricca cultura enogastronomica italiana affonda le sue radici nell’antichità; già i Romani seguivano una dieta mediterranea, producevano l’olio d’oliva e il vino, avevano conoscenze tecniche sulla fermentazione dell’uva che, ancora oggi, vengono usate, oltre ad un loro ‘manuale di galateo’ su come ci si dovesse comportare durante i banchetti. 

La ricchezza enogastronomica italiana è ancor più impreziosita dalla sua forte regionalità: ogni Regione ha un suo piatto tipico e un suo vino tipico, rappresentando, in molti casi, un abbinamento vincente. 

Crescendo in Toscana, è diventato presto evidente che la bistecca alla Fiorentina si sposa bene con un vino rosso a base, o in prevalenza di, uva Sangiovese. 

Gli esempi sono numerosi, dal Chianti Classico Riserva al Rosso di Montalcino, a un Sangiovese in purezza.

Parallelamente, un milanese saprà che il classico risotto con ossobuco si accompagna con un rosso di uvaggio Pinot Nero dall’Oltrepò Pavese. Per quanto riguarda il Sud, quanti di voi non hanno saputo resistere a mangiare il famoso porceddu allo spiedo, innaffiandolo con un rosso a base di uva Cannonau, quando in Sardegna? E per gli amanti del dolce, la cassata siciliana con il passito di Pantelleria, vino dolce da uva Zibibbo (anche conosciuto come Moscato di Alessandria e risalente all’antica Alessandria di Egitto), che è stata appassita sotto il sole, è un abbinamento molto conosciuto e azzeccato. 

Ci sono poi gli abbinamenti più tecnici, quelli più azzardati, che quando riescono offrono indubbiamente un momento culinario indimenticabile, e gli abbinamenti impossibili. Nei primi, partendo dagli antipasti come i salumi misti, che sono grassi e sapidi, hanno una tendenza dolce, varia speziatura e aromaticità – basti pensare alla mortadella –, generalmente si tende a consigliare vini rossi di pronta beva, freschi, leggeri e vivaci, come un Lambrusco.

Ci sono poi gli abbinamenti gourmet (molto spesso costosi) che stravolgono queste regole; è il famoso caso del Sauternes francese – muffato nobile prodotto da uve bianche Semillon e Sauvignon Blanc nella regione del Bordeaux – che è pura apoteosi quando bevuto con il foie gras.

Per i primi piatti, una semplice pasta al pomodoro e basilico, finita con un filo di olio di oliva, può, e deve, avere un vino di compagnia che possa sfumare quella sua spiccata acidità derivata dal pomodoro e olio. Personalmente, gradisco un buon bicchiere di rosato giovane, ma anche un bianco moderatamente fresco come un Fiano campano può fare al caso.  

Per le carni e i pesci, molto dipende dalla loro tipologia e cottura, oltre alla salsa di accompagnamento. Nel caso di un brasato al Barolo piemontese, va da sé che si trovi d’accordo con il medesimo Barolo da uva Nebbiolo, considerato in tutto il mondo il re dei vini rossi italiani. 

Gli abbinamenti più complicati sono di fatto quelli dove l’elemento dell’acidità, come da aceto e limone, e la forte sensazione amaricante, oltre a una notevole astringenza, come nel carciofo crudo, spiccano notevolmente. Secondo il WSET, quando le parti ‘dure’ del cibo – acidità, sensazione amaricante e tannino – prevalgono, le parti ‘morbide’ del vino, che sono di fatto quelle più gradevoli come il gusto fruttato e una percezione di “dolcezza” vanno a diminuire, sbilanciando così l’abbinamento. 

Qui entrano anche in gioco fattori come la sensibilità gusto-olfattiva personale, e la tolleranza verso forti sensazioni come quella dell’amaricante e della piccantezza. C’è chi ama cibi estremamente piccanti come il Phaal curry indiano, mentre io personalmente morirei. Alcuni tipi di curry, un pochino meno piccanti, che riesco a mangiare li accompagno di solito a vini bianchi da uve aromatiche come il Gewürtraminer o bianchi amabili (con un certo residuo zuccherino) come un Riesling tedesco della Mosella.

Ci sono poi i casi in cui la parte umami del cibo, che dona quel gusto rotondo, pieno e persistente, e che aumenta la salivazione dando quella sensazione di pienezza di bocca, vada a interferire fastidiosamente con il vino. Basti pensare ai funghi e a quanto il loro umami aumenti man mano che cuociono. Conversamente, se il cibo ha, oltre alla parte umami, una sua sapidità, come nel caso del Parmigiano Reggiano, l’abbinamento con il vino risulterà più fattibile. 

Una bollicina, sia uno Champagne francese da uva bianca Chardonnay o un Franciacorta lombardo, con la sua fresca beva e spiccata, e fine, bollicina, faranno miracoli nel ripulire la bocca dalla grassezza del formaggio.

In ogni caso, bisogna sempre ricordarsi che, quando si è in ottima compagnia davanti a del buon cibo, qualsiasi vino sarà in grado di allietare il palato, contribuendo a creare ricordi memorabili.