SYDNEY - Le disposizioni, introdotte a febbraio dal governo statale dopo una serie di incidenti a carattere antisemita avvenuti a Sydney e a Melbourne - tra cui atti vandalici, incendi e minacce - conferivano alla polizia poteri estesi per disperdere o rimuovere chiunque manifestasse “nei pressi” di chiese, sinagoghe o moschee.
Secondo i giudici, la formulazione della legge era troppo ampia e ambigua, poiché il termine “vicino a un luogo di culto” non definiva con chiarezza l’estensione dei poteri di intervento, rischiando di scoraggiare manifestazioni legittime. Josh Lees, l’attivista del Palestine Action Group che aveva promosso il ricorso, aveva sostenuto che la norma “avrebbe avuto un effetto di raffreddamento sul diritto di protesta”.
La giudice Anna Mitchelmore ha accolto le argomentazioni, affermando che la norma “impone un onere ingiustificato sulla libertà costituzionale implicita di comunicazione su questioni politiche e governative”.
I legali che hanno rappresentato il New South Wales, guidati dal procuratore generale, Michael Daley, avevano difeso la legge sostenendo che fosse volta unicamente a proteggere i fedeli da molestie o intimidazioni durante l’accesso ai luoghi di culto. Tuttavia, la Corte ha ritenuto che la misura andasse “oltre il necessario” e che la sua applicazione avrebbe potuto colpire indiscriminatamente manifestazioni pacifiche.
La decisione rappresenta un duro colpo per il premier Chris Minns, che aveva varato le norme nonostante gli avvertimenti sul rischio di violazioni costituzionali. In seguito al verdetto, Minns ha dichiarato che il risultato è “deludente”, ma ha ricordato che restano in vigore le sanzioni penali per chi minaccia o molesta i fedeli.
Associazioni della comunità ebraica hanno definito la sentenza “profondamente preoccupante”, affermando che “i luoghi di culto devono essere spazi di sicurezza e rifugio”. Da parte loro, gruppi per i diritti civili hanno salutato la decisione come “una vittoria per la libertà di protesta e la democrazia”.
Secondo gli osservatori, la controversia ha messo in evidenza il difficile equilibrio tra la tutela della sicurezza pubblica e la salvaguardia dei diritti civili, in un clima di crescente tensione legata alle manifestazioni sul conflitto in Medio Oriente.