BRASILIA - L'ex presidente brasiliano Fernando Collor de Mello è stato arrestato questo venerdì a Maceió, nello stato di Alagoas, per iniziare a scontare una condanna a otto anni e dieci mesi di reclusione per corruzione e riciclaggio di denaro.  

La detenzione è avvenuta dopo che il giudice Alexandre de Moraes, del Supremo Tribunale Federale (Stf), ha respinto l’ultimo ricorso presentato dalla difesa, ordinando l’esecuzione immediata della pena.  

Collor, 75 anni, è stato il primo presidente eletto democraticamente dopo la fine della dittatura militare in Brasile, ricoprendo la carica dal 1990 al 1992, anno in cui si dimise in seguito a un processo di impeachment per accuse di corruzione. Successivamente, è tornato alla politica come senatore per Alagoas dal 2007 al 2023. 

La condanna, emessa nel maggio 2023, è legata all’Operazione Lava Jato, un’indagine anticorruzione che ha coinvolto numerosi politici e imprenditori in America Latina, tra cui lo stesso Lula da Silva, attuale capo di Stato.  

Secondo l’accusa, Collor avrebbe ricevuto circa 20 milioni di reais (circa 3,5 milioni di dollari) in tangenti, tra il 2010 e il 2014, per facilitare contratti tra la BR Distribuidora, ex filiale della compagnia petrolifera statale Petrobras, e la società di costruzioni Utc Engenharia. 

Durante le indagini, la polizia ha sequestrato diversi veicoli di lusso nella residenza di Collor a Brasilia, tra cui una Ferrari, una Porsche e una Lamborghini. I difensori dell’ex presidente hanno sempre negato le accuse, sostenendo l’innocenza del loro assistito. 

Il 28 aprile 2025, il plenum del Supremo Tribunale Federale ha confermato l’arresto con sei voti favorevoli e quattro contrari, consolidando la decisione del giudice de Moraes.  

Con questa condanna, Collor diventa il terzo ex presidente brasiliano a essere incarcerato per reati comuni, dopo Luiz Inácio Lula da Silva e Michel Temer. L’episodio sottolinea la persistenza della corruzione nelle sfere più alte del governo del Paese, con il coinvolgimento di figure politiche di alto profilo. Per i difensori dei politici, si tratta invece di lawfare, cioà dell’uso della magistratura per colpire e mettere fuori gioco personaggi scomodi, come accadde a Lula durante la campagna elettorale del 2019, con le elezioni vinte da Jair Bolsonaro.