GAZA - Il prossimo round di negoziati si preannuncia arduo. “Sarà molto complicato”, ha ammesso una fonte vicina ai negoziatori palestinesi, subito dopo l’intesa raggiunta sulla prima fase del piano di pace del presidente Usa Donald Trump.
Questa fase iniziale prevede un cessate il fuoco nella Striscia di Gaza e lo scambio di prigionieri tra Israele e Hamas.
Gli altri punti del piano di Trump, che saranno oggetto dei prossimi colloqui, sono molto più delicati e comprendono il disarmo di Hamas e degli altri gruppi armati palestinesi e la completa smilitarizzazione della Striscia di Gaza. La gestione del territorio dovrebbe essere affidata in via temporanea a un comitato tecnico palestinese, monitorato da un Consiglio di pace internazionale, in attesa che subentri l’Autorità Nazionale Palestinese (Anp), una volta completato il processo di riforme richiesto dalla comunità internazionale.
Nella risposta inviata la scorsa settimana, Hamas ha precisato di avere il mandato per stipulare un accordo solo su questioni direttamente legate alla guerra a Gaza, sottolineando che tutte le altre questioni richiederanno il coinvolgimento di tutte le fazioni palestinesi.
Nonostante le riserve, il gruppo ha accettato l'accordo. Parlando al sito statunitense Drop Site, una figura di spicco di Hamas, Mousa Abu Marzouk, e altre fonti che hanno preferito l’anonimato, hanno ammesso di aver accettato perché “non c’è nessun altro accordo” possibile per mettere fine al conflitto a Gaza.
Il gruppo ha deciso di correre il rischio che Israele torni a violare il cessate il fuoco "fidandosi del presidente Trump come garante degli impegni presi”. Il calcolo interno tra i principali negoziatori, ha aggiunto poi la fonte al corrente del negoziato, è stato che “l’analisi costi-benefici favoriva l’accettazione”, pur sottolineando che “i prossimi negoziati devono essere condotti in modo molto intelligente”.
L’attuazione della prima fase del piano prevede, tra le altre cose, il ritiro delle Forze di difesa israeliane (Idf) da Gaza, il disarmo di Hamas e la smilitarizzazione dell'enclave, il dispiegamento di una Forza internazionale di stabilizzazione e una nuova forma di governance, riconoscendo al contempo la necessità di “un percorso credibile verso l’autodeterminazione e la statualità palestinese”. Un principio, quest'ultimo, che si scontra direttamente con il noto rifiuto israeliano di uno Stato palestinese.
Secondo l’analisi realizzata dallo European Council of Foreign Relations (Ecfr), il piano di Trump modificato su richiesta di Israele prevede che “tutte le infrastrutture militari, terroristiche e offensive, inclusi tunnel e impianti di produzione di armi, vengano distrutte e non ricostruite”.
Tale formulazione equivale, secondo gli analisti, a “una resa completa per Hamas”. L’Ecfr avverte che, anche se la leadership del gruppo accettasse, “molti dei suoi combattenti probabilmente rifiuterebbero di consegnare le armi e potrebbero disertare verso gruppi più intransigenti, meno propensi ad arrendersi (come la Jihad Islamica, i Comitati di Resistenza Popolare o le Brigate Mujaheddin)”.
Per convincere Hamas a disarmarsi servirebbe quindi l’impegno israeliano a ritirarsi completamente da Gaza e ad avviare negoziati di pace. L’attuale piano, tuttavia, prevede che Israele mantenga una “zona cuscinetto di sicurezza” che comprende oltre il 17% del territorio dell’enclave, e la manterrebbe fino a quando “non sarà adeguatamente protetto da qualsiasi minaccia terroristica risorgente”. Una formulazione, quest'ultima, che lascia ampio margine di manovra a Israele.
Il dispiegamento di una Forza internazionale di stabilizzazione “sarà fondamentale per la smilitarizzazione di Gaza e il completo ritiro di Israele”. Secondo gli analisti, tale forza dovrà avere un mandato “chiaramente definito e concordato”, limitando il suo ruolo “al monitoraggio e alla risoluzione del conflitto”, oltre ad addestrare un nuovo corpo di polizia palestinese.
Al momento, la composizione di questa forza non è chiara. L’Anp premerà probabilmente per riattivare le proprie forze di sicurezza insieme ai 5.000 poliziotti addestrati in Egitto e Giordania, hanno sottolineato gli analisti. Israele, d’altra parte, potrebbe spingere per includere membri di gruppi sostenuti in funzione anti-Hamas, come la milizia di Abu Shabab.
L’Ecfr osserva che “a fronte della realtà sul campo e della necessità di ottenere il consenso di Hamas, probabilmente dovrà incorporare molti dei circa 15.000 membri delle attuali forze di polizia di Gaza”. Gli analisti ricordano che questi non sono membri di Hamas e che erano stati precedentemente autorizzati da Israele: “La loro completa smobilitazione rischierebbe di far deragliare qualsiasi processo di stabilizzazione post-conflitto”, hanno ammonito.
Il piano di Trump disegna un modello di governance su due livelli. Il primo, locale, è un comitato di transizione tecnico e apolitico, responsabile “della gestione quotidiana dei servizi pubblici e delle amministrazioni comunali per la popolazione di Gaza”, composto da palestinesi ed esperti stranieri. Ma sia Hamas che l’Anp chiedono che questo comitato abbia potere decisionale.
Il secondo livello è il Consiglio di Pace, guidato da Trump e dall’ex primo ministro britannico Tony Blair. Hamas ha già fatto sapere che Blair è “una figura sgradita nel contesto palestinese”, ma di fatto non è ancora chiaro quale sarà il mandato e la portata di questo Consiglio.
Gli analisti Ecfr temono che questo Consiglio “potrebbe agire come governo di fatto, con ampi poteri sulle questioni umanitarie, economiche, legislative, di sicurezza e di ricostruzione di Gaza”. Questo, continuano, potrebbe portarlo “a nominare giudici, licenziare i membri del comitato amministrativo, così come a controllare le risorse naturali di Gaza, tra cui il suo giacimento di gas offshore, e distribuire terreni senza alcuna reale responsabilità o supervisione”. Tali frizioni, insieme “alle richieste palestinesi di decidere autonomamente i propri affari, potrebbe innescare conflitti”.
La situazione è complessa anche per l'Anp, che “questo modello di governance potrebbe lasciarle poca o nessuna autorità a Gaza, consolidando la separazione tra la Cisgiordania e la Striscia”. A questo riguardo, il piano di Trump non parla di come riconnettere Gaza alla Cisgiordania, né di come porre fine al blocco israeliano della Striscia, “senza il quale non è possibile una riqualificazione economica sostenibile”.
Il ritorno dell’Anp a Gaza e l’avvio di un nuovo percorso politico sono subordinati al completamento di un programma di riforme legato sia al “piano di pace del presidente Trump nel 2020” che alla proposta lanciata da Francia e Arabia Saudita. Quest’ultima prevede l’abrogazione del sistema di pagamento per “martiri e prigionieri”, la riforma dei libri di testo scolastici e l’impegno a indire elezioni entro un anno. Su questi punti, "l’Anp ha ampiamente rispettato i primi due passaggi e il presidente Abbas ha promesso elezioni legislative e presidenziali entro un anno dal cessate il fuoco”, hanno sottolineato gli analisti.
Il piano di Trump del 2020, tuttavia, risulta più insidioso, perché chiedeva all’Anp di rinunciare al diritto di aderire a “qualsiasi organizzazione internazionale” senza il consenso di Israele e di astenersi dall’intraprendere qualsiasi azione presso organismi come la Corte penale Internazionale e la Corte internazionale di Giustizia.
Nelle loro conclusioni, gli analisti Ecfr hanno sottolineato che “un percorso di pace credibile deve iniziare con un cessate il fuoco a Gaza, ma non durerà senza un cambiamento radicale nell’atteggiamento pubblico e politico israeliano e senza un’inversione di tendenza nell’espansione degli insediamenti israeliani in Cisgiordania”. Inoltre, Hugh Lovatt e Muhammad Shebaba hanno sottolineato che è “necessario garantire risultati politici da Israele per sostenere il processo di smantellamento di Hamas” e “tutto questo richiede un incessante sforzo congiunto da parte degli stati europei e arabi per esercitare pressioni dirette su Israele”, così come sugli Stati Uniti perché si adoperino per “garantire il rispetto degli impegni israeliani”. La loro conclusione è che “senza tutto questo, il piano di Trump potrebbe fallire prima ancora di decollare”.