GENOVA - Sono stati provocati dal padre non solo nel momento in cui è entrato in casa, violando il divieto d’avvicinamento e pretendendo che il figlio maggiore modificasse la denuncia nei suoi confronti, ma anche da anni di tensioni familiari e minacce alla madre. Per questo i giudici della seconda sezione della Corte d’assise d’appello nella sentenza depositata motivano il forte sconto di pena ad Alessio e Simone Scalamandré, i due fratelli, di 33 e 25 anni, condannati per l’omicidio del padre, Pasquale, avvenuto il 10 agosto 2020 nel capoluogo regionale ligure. Entrambi entreranno in carcere probabilmente dopo l’estate.Gli avvocati difensori (Luca Rinaldi e Andrea Guido per Alessio, Nadia Calafato e Riccardo Lamonaca per Simone) sono pronti a presentare nuovo ricorso in Cassazione anche se non è escluso che i supremi giudici possano rigettarlo.
Resta che la pena a cui sono stati condannati nel processo d’appello ter che si è tenuto davanti alla Corte d’assise d’appello è decisamente contenuta rispetto alle precedenti. Nel 2024 a Milano (dove il processo era stato trasferito dopo un primo rinvio della Cassazione), la condanna era stata di 21 anni per Alessio e 14 per Simone in virtù del ruolo minore avuto nel delitto. Gli ermellini avevano rinviato il processo ancora una volta chiedendo di valutare l’attenuante della provocazione da parte del padre e, anche, la prevalenza delle attenuanti generiche sull’aggravante di un delitto avvenuto tra congiunti dopo una sentenza della Corte costituzionale in questo senso. E ora i giudici, cogliendo i rilievi, hanno dato ragione agli avvocati dei due ragazzi. Grazie allo sconto di un terzo ella pena per la provocazione e alla prevalenza delle attenuanti le condanne sono state fissate a 12 anni per Alessio e a sei anni e due mesi per Simone.
I giudici nelle motivazioni parlano di una “provocazione per accumulo”, cominciata con anni di minacce e maltrattamenti da parte di Pasquale Scalamandré nei confronti della moglie, che si era dovuta rifugiare in una comunità protetta in Sardegna, deflagrata nel giorno del delitto. Quel giorno il padre aveva insistito per vedere Alessio, nonostante avesse il divieto d’avvicinamento: voleva a tutti i costi che ammorbidisse la denuncia nei suoi confronti prima del processo che sarebbe iniziato da lì a poco. E quella denuncia se l’era portata dietro, con tanto di modifiche appuntate (sarà ritrovata dopo l’omicidio). Quando Alessio si era rifiutato di cambiare le sue dichiarazioni alla polizia il padre lo aveva preso per un braccio per trascinarlo in Commissariato fino a scaraventarlo contro una scarpiera. Da lì la colluttazione e l’omicidio. Erano stati i due fratelli a chiamare la polizia e Alessio si era subito addossato tutta la responsabilità. Da allora si trova agli arresti domiciliari: questo significa che quando entrerà in carcere avrà scontato quasi la metà della pena tenuto conto della buona condotta. Simone invece è sempre rimasto libero e lavora. Per entrambi gli avvocati sperano di poter chiedere nel giro di un paio d’anni misure meno afflittive come la messa alla prova o la semilibertà.